C'è ancora tanto da mettere nero su bianco e l'avventura continua con il quotidiano del giorno dopo giorno. Gli spicchi di questa torta sanno ancora di dolcezza e di voglia di assaporare.
Allora ho deciso di scrivervi di qualche curiosità, di qualche banalità che ultimamente mi ha fatto sorridere, ma che serve a capire quanto radicalmente la religione entri in ogni spazio della vita personale e pubblica di un saudita.
Ero
appena all'ingresso di un mall e mi imbatto nel manifesto degli orari di
apertura e chiusura delle attività commerciali all'interno. Starete pensando
che siano omesse le cinque chiusure quotidiane per preghiera, ebbene sì, ma c'è
anche dell'altro: una sorta di avvertenza sul decoro dell'abbigliamento e della
lunghezza dei capelli!
Sarebbe
un po' la fortuna di una persona calva!
Sempre
all'interno dello stesso centro commerciale ci dirigiamo verso la gelateria
italiana migliore della città. Vanta di aver ricreato anche un'ambientazione
che possa ricordare alcuni dei luoghi della costiera amalfitana più belli.
Ebbene, se si decide di appendere un poster della piazza di Amalfi, non può
mancare il duomo, ma è opportuno cancellare e censurarne la croce!
Partecipo ad una chat di gruppo delle donne che abitano nel mio compound. In realtà ci sono più gruppi, nello specifico, quello di cui vi voglio parlare, è stato predisposto per mettere in vendita oggetti nuovi e mai usati oppure oggetti artigianali, o ancora cibo. Ad esempio, oggi decido di cucinare una torta e metto in vendita le fette che penso non saranno mangiate. Un giorno, leggo di un integratore vitaminico, che, a quanto pare, sembra sia difficilmente reperibile in Arabia. La persona che si occupava di rivenderlo diceva che sarebbe stato acquistato negli Stati Uniti e che, se c'erano degli acquirenti interessati, potevano prenotarlo e riceverlo da lì ad un mese. Preciso che la venditrice è musulmana, ma in tutta risposta viene subito precisato che queste vitamine non vengono vendute in Arabia perché potrebbero contenere gelatina di maiale e quindi sono "haram", termine che vuole significare un qualcosa di peccaminoso per la religione islamica. La venditrice ribatte subito, infatti, di aver già esortato la persona negli Stati Uniti a verificare che non fosse presente.
Mi trovo
a passeggiare lungo i corridoi di Ikea e sembra quasi di sentirmi allo store espositivo
di Roma, perché rivedo la cassettiera, la scrivania e le librerie "Liatorp"
che comprammo per arredare lo studio. Se non fosse che poi alcuni angoli di
arredamento sono studiati per i gusti estetici dei locali e allora ti trovi
davanti qualcosa di diverso!
Se non
fosse che a camminare lungo i percorsi obbligati tra un settore e l'altro siamo
tra i pochi europei presenti. Davanti a me cammina una signora piuttosto in
carne. Sicuramente l'obiettivo "taglia curve" dell'abaya non aiuta a snellire, se
non fosse per il nero, ma la signora aveva davvero una circonferenza vita molto
grande. Allora comincio a sospettare che sotto l'abaya queste donne possano
nascondere tutta la loro vita, oltre che un abbigliamento volendo dimesso di
cui nessuno si accorgerebbe. Ad un tratto la vedo camminare ancora più goffamente a
ed inciampa in una coperta che le scende al di sotto della lunga
veste! Potremmo quasi parafrasare "sotto il vestito di tutto!!!".
Un
giorno mi trovo in una sala d'attesa rigorosamente per donne e non posso
guardarmi intorno per scrutare con curiosità cosa stiano facendo. Causa la
globalizzazione, come dovunque, la maggior parte di loro è con il proprio
smartphone in mano. Quindi, a sguardo basso, ognuna di noi è intenta a leggere,
chattare, giocare. Ad un certo punto si sente il rumore di un respiro profondo,
come di una persona caduta in un sonno profondo. In poco tempo questo rumore va
in crescendo, si sente una donna che russa e ruba qualche goffa risata di
sottofondo. Il bello è che il rumore proveniva da una donna con il niqab
integrale, quindi serena che nessuno l'avrebbe osservata! Da quel momento non
faccio che pensare a quanto buffa invece possa sembrare io che mi addormento a
bocca aperta, specialmente quando mi capita di viaggiare in aereo di notte!
Il mio è
stato solo un raccontare con leggerezza di fatti quotidiani, che possono farci
sorridere, ma che sono anche molto seri, se guardati dal punto di vista di un
religioso ortodosso. Spero di non essere sembrata irrispettosa, ho solo voluto
condividere l'osservazione di distanze culturali anche su cose più semplici, ma
vive! Ed eccomi allora a dire la mia su quanto pubblicato ultimamente sui
social dell'esperienza della giornalista Flavia Piccini ed il suo aver
sperimentato ed amato il burqa. In sintesi, la scrittrice in uno dei suoi
viaggi si reca a Kuwait City e decide di andare nel souq ad acquistare un burqa.
Lo indossa e fa delle riflessioni circa questo indumento, cioè di quanto sia
agli antipodi con l'eccessivo accento posto, nella nostra cultura,
sull'apparenza. Lei sostiene, infatti, che occorrerebbe "imparare a
concentrarci su noi stessi e non sull'abito/aspetto/percezione che diamo e che
siamo". Quello che credo è che dovremmo rapportarci gli uni gli altri con
grande rispetto reciproco. Ahimè non condivido l'amore per il burqa, forse
perchè, volente o nolente, sono figlia di quella cultura che riconosce l'io
attraverso il "tu", ovvero la percezione che gli altri hanno di te.
Per me, "mostrarsi" è cura di
se stessi perché ci si vuole bene, per rispetto della propria dignità. Ma sono
d'accordo che non è necessario dover costantemente accendere i riflettori e mettersi in vetrina!
Una
mattina durante una passeggiata lungo la corniche vengo fermata da una volante
della polizia. Ecco che i battiti cominciano ad accelerare, forse per il
pregiudizio che siano l'organo rappresentativo di uno dei paesi più rigidi del
mondo. Mi preoccupo su cosa dovrò dire o su quali documenti mi chiederanno di
esibire. Al contrario si avvicinano per
chiedermi cosa stessi facendo e di quale paese fossi originaria. Al di là del
fatto che non so spiegarmi, ma ho riscontrato una diffusa simpatia per
l'Italia, quasi sia la chiave per ricevere un atteggiamento più disponibile da
una qualsiasi controparte saudita, dal venditore che contrattando ti fa più
sconto, al medico che ti fa l'occhiolino dicendo di non preoccuparti per le tue
condizioni di salute... alla polizia appunto. Continuano chiedendomi se mi
piacesse il paese e cosa mi piacesse di questo mondo musulmano. Rispondo
dicendo che quello che ho apprezzato di più è stato il mio essermi sentita
accolta (contrastando quella che era la mia stereotipata idea di un popolo
integerrimo e severo). Mi rivolgono un sorriso e mi dicono che saranno a
pattugliare l'area per l'intera mattina, qualora avessi bisogno, basterà
fermarli.
A
distanza di un anno, eccomi qui, a sentirmi ancora benvenuta! C'è tanta distanza
culturale, ma possiamo alleviarla con un sorriso!
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