Cosa significasse diversità culturale ce lo hanno insegnato
tanti anni fa Richard ed Anne. Un'amicizia nata tra mio marito ed il suo
"fratello" norvegese sui banchi universitari, quando venuto in Italia
per l'Erasmus con la sua famiglia, significò che era accompagnato da sua moglie
e Samuel, il loro primogenito.
Ci siamo da subito confrontati con questo mondo parallelo
dove i giovani si potevano da subito rendere indipendenti. Noi eravamo sempre
molti passi indietro, quante risate... ne uscivamo spesso retrogradi ed
arretrati sotto tutti i punti di vista, soprattutto perché viaggiavamo su mondi
diversi in termini di opportunità. E così abbiamo visto il nostro amico sempre
con gli occhi dell'ammirazione, come chi, avendo delle grandi capacità
personali, è riuscito a segnare il proprio cammino personale e professionale!
Pur vivendo in paesi diversi ci siamo spesso ritrovati ora
in Italia, ora in Norvegia, per tre anni consecutivi loro hanno vissuto a Roma,
poi Richard è stato nostro testimone di nozze
e la piccola Emmeline, la
terzogenita, la bimba che ci ha consegnato le fedi... Hanno vissuto, condiviso
con noi il nostro sogno, la nostra festa. Loro cambiano diversi paesi,
L'Azerbaijan, l'Italia e poi l'Ucraina e
noi rimaniamo incollati alla nostra Italia, incollati alla nostra paura di
cambiare fino al giorno in cui scegliamo l'Arabia.
Si propongono di venirci a trovare, un nuovo incontro per
noi, l'approccio da vicino per loro con una nuova cultura... E non si può, le
porte sono chiuse, nostro malgrado; la casa è grande, li potremmo ospitare
volentieri, ma nessuna eccezione, neanche una deroga di fronte ad un passaporto
diplomatico. Ma Richard è così, non desiste e allora ci incontriamo al di là
del ponte. Si chiama Bahrain, fa sorridere esserci spostati solo di pochi
chilometri, ma siamo in terra franca, pronti ad accoglierli. Hanno giustamente
pensato di ampliare il tour e di
visitare anche le capitali di Libano ed Oman. Atterrano, infine, a Manama e ci
incontriamo per un giro turistico della città.
Li andiamo a prendere in albergo e pensiamo di portarli in
un locale tipico per la colazione, ed invece ci perdiamo... Ci avventuriamo in
alcuni vicoli della zona centrale e meno moderna, che ci portano ad uno dei forti.
Godiamo di una bella vista sulla zona desertica. La sabbia è molto chiara ed il
sole la riflette lucente ai nostri occhi.
Il
colore molto chiaro dell'argilla che ricopre l'edificio lo rende un tutt'uno
con il contorno. Spiccano solo le palme, ci litighiamo quasi l'ombra dei loro
rami...
Ma il nostro scopo era la colazione, rispondiamo ad un primo
languorino grazie a una specie di pizza ripiena di formaggio appena sfornata!
Camminiamo ancora un po', ma del locale di cui eravamo alla ricerca neanche
l'ombra. Chiediamo informazioni e per tutta riposta, atteggiamento tipico di
questa zona, per non offendere, ci vengono fornite indicazioni errate! E non è
solo un simpatico gioco di parole, abbiamo "errato" invano per un bel
po'! Fin quando chiediamo semplicemente se sanno indicarci un locale e, ci
accomodiamo in un luogo davvero originale! Molto semplice, ma che ci fornisce
del riso accompagnato da diversi tipi di carne e verdure, davvero gustoso!
Finalmente ristorati, proseguiamo il nostro cammino verso
l'albero della vita,
la Grande Moschea,
ed il lungomare.
E' il tramonto e
pensiamo di andare a visitare il souq. Cominciamo a perderci un po'
all'interno, dentro i vari vicoli, ma dopo cominciamo ad accorgerci che c'è una
strana atmosfera. Tutti, adulti e bambini, uomini e donne, sono integralmente
vestiti di nero. Ci sono appesi ovunque manifesti neri con scritte in arabo dai
colori fluorescenti e le moschee sono estremamente illuminate.
E c'è anche molta polizia in giro. Non riusciamo a capire
cosa stia accadendo, non riusciamo a capire se ci troviamo in una situazione di
pericolo, siamo incerti se rimanere, ma una cosa accomuna noi ed il nostro
amico, siamo tutti affascinati da queste stravaganze culturali e non resistiamo
ad avere delucidazioni in merito.
Nonostante il buio, nonostante l'abbigliamento nero, sembra
un clima di festa. Ci sono molte persone e tutti risultano molto accoglienti e
disponibili a darci spiegazioni. Si tratta di una manifestazione che ha luogo
per l'Ashura, uno degli eventi chiave del calendario musulmano sciita. Ashura
ricorda infatti l'uccisione dell'imam Hussein, nipote del profeta Maometto,
avvenuta a Kerbala nel 680 dopo Cristo. La storia narra che Hussein fosse stato
trucidato insieme con 72 suoi fedelissimi dagli uomini del califfo Ommayyade
(sunnita), Yazid. Gli sciiti considerano il padre di Hussein, Alì, il vero
successore di Maometto di cui era cugino, oltre che genero, per averne sposato
la figlia Fatima.
Abbiamo capito solo a posteriori di cosa si trattasse.
Bisogna considerare che la maggior parte della popolazione bahreinita si
professa musulmana di orientamento sciita, mentre il potere è in mano ad una
dinastia sunnita. Si trattava di un evento ufficiosamente tollerato, ed in cui
siamo stati favorevolmente accolti. Non è mio scopo quello di esprimere opinioni
in merito, ma voglio semplicemente raccontarvi il fatto così come si è mostrato
ai nostri occhi ignari. Ci invitano innanzitutto a prendere del caffè speziato
e a girare lungo i vicoli. Entriamo in una piccola piazzetta, dove si sta
facendo la catechesi dei giovani. L'indottrinamento passa attraverso dei
cartoni animati; i bambini vengono invitati a ripetere ad alta voce dei versi;
vengono interrogati e viene premiato chi risponde in modo corretto.
Trascorre circa un'ora prima che l'evento abbia inizio: si
susseguono diversi cortei. Aprono il corteo dapprima delle alte bandiere.
Dopo di che un gruppo di uomini si
muove in circolo, guardandosi reciprocamente, uno sguardo di sofferenza, di chi
vuole espiare una colpa, si battono forte il petto; forse lo sterno funge da
cassa di risonanza perché il rumore sordo che producono è profondo, stanno
esprimendo il loro pentimento.
Infine avanza il corteo più importante, quello
che si autoflagella per espiare la colpa. Si utilizza una catena, o meglio un
bastone da cui si dipartono più catene che vengono battute sulle spalle.
La
scena è impressionante, sopratutto perché tra i partecipanti ci sono anche dei
piccoli bambini.
Lo sbattere delle catene, il colore funereo delle vesti e
delle bandiere, le litanie intonate creano un'atmosfera di vera espiazione, ma
anche di costernazione da parte di chi partecipa esternamente. Un giovane
accompagnatore ci spiegherà che, comunque, l'atto dell'autoflagellazione è
simbolico e, di solito, non accompagnato da dolore fisico.
Al termine di questi cortei, ci immergiamo nel pieno della festa
veniamo invitati ad avvicinarci
a dei chioschi che distribuivano cibi e bevande gratuiti. E' l'occasione per
immergerci in un qualcosa di autentico, senza filtri e che, ancora una volta, passa
anche attraverso i piatti della tradizione. Da una parte si friggono le Awwameh,
le palline fritte e poi immerse nel miele e nel sesamo; da una parte si
cuoce il chapati, la sottile pizzetta tonda di origine indiana;
da una parte
si distribuisce una zuppetta di fave; e poi ancora si distribuiscono bevande
dal colore rosa "barbie" dal dolcissimo retrogusto alla rosa;
bicchierini di latte caldo al cardamomo ed un'estesa varietà di tè con
moltitudini di aromi diversi.
Eccoci amici, non siamo riusciti ad accogliervi a casa
nostra, ad offrirvi una stereotipata ospitalità, ma siete stati parte
integrante di un'avventura, vissuta insieme, che si è creata per caso. Avete
addirittura indossato le maglie nere regaletevi da un generoso negoziante
affinché poteste immergervi in questo clima. Comunque dei biondissimi norvegesi
spiccheranno sempre in una folla di arabi!