sabato 24 dicembre 2016

Un augurio di speranza

Chi non si ferma verso Natale a guardare l'anno appena trascorso? Chi non si sofferma a fare bilanci? Forse potrebbe essere andata meglio, oppure peggio...
È capitato anche a me, mi fermo a riflettere e ripenso alla storia di S., una dolcissima e sempre sorridente donna eritrea. Un giorno mi racconta del suo mare, di quanto le manchi il suo paese e fin qui posso capirla pienamente, perché, pur non essendo una nostalgica, capisco che le radici sono difficili da sradicare. Mi spiega di essere venuta in Arabia insieme a sua sorella e di aver lasciato i suoi tre figli. Il marito, invece, lavora in Norvegia. Ed ha davanti a sé il suo cellulare e mi mostra le foto di un bambino piccolo, che gattona. Mi dice di averli lasciati alle cure della nonna, sicura che avranno una presenza femminile accanto. Mi parla orgogliosa di loro, gli occhi si emozionano anche solo alla vista di queste immagini! Poi si rabbuia, mi spiega che il costo del visto è diventato molto alto, che aiutare e sostenere economicamente la famiglia non è poi così facile, che non può permettersi l'acquisto frequente di un biglietto aereo per tornare da loro, pena il vanificare tutti i propri sacrifici economici. Ad un tratto le scende una lacrima, e mi dice "Ma'am" (un'abbreviazione formale di "madam") lo sai che anche quando sono con loro non si rivolgono a me per le loro richieste, io sono lì, ma loro continuano a rivolgersi a mia madre come fosse la loro figura materna di riferimento. 
La storia di S. è la storia di tanti, dei "workers" che lavorano in terra saudita, dove non serve gettare la carta in cestino perché c'è qualcuno che poi la raccoglierà, dove non serve imbustare la spesa perché alla fine delle casse c'è sempre qualcuno che lo fa per te, dove al termine della scala sociale c'è sempre qualcuno che, nella dignità anche di un lavoro molto umile, sogna un futuro migliore per i propri figli, facendo sacrifici che "noi" non riusciremmo neanche ad immaginare. 
Non a caso "choosing saudi"... Io e mio marito abbiamo scelto, ma purtroppo non tutti abbiamo delle alternative.  Da qui il mio augurio più grande, perché un domani anche i figli di S. possano avere l'opportunità di "scegliere", affinché il cambiamento non sia necessario ma voluto! 
 

giovedì 15 dicembre 2016

Roma - Oslo - Manama

Cosa significasse diversità culturale ce lo hanno insegnato tanti anni fa Richard ed Anne. Un'amicizia nata tra mio marito ed il suo "fratello" norvegese sui banchi universitari, quando venuto in Italia per l'Erasmus con la sua famiglia, significò che era accompagnato da sua moglie e Samuel, il loro primogenito.
Ci siamo da subito confrontati con questo mondo parallelo dove i giovani si potevano da subito rendere indipendenti. Noi eravamo sempre molti passi indietro, quante risate... ne uscivamo spesso retrogradi ed arretrati sotto tutti i punti di vista, soprattutto perché viaggiavamo su mondi diversi in termini di opportunità. E così abbiamo visto il nostro amico sempre con gli occhi dell'ammirazione, come chi, avendo delle grandi capacità personali, è riuscito a segnare il proprio cammino personale e professionale!
Pur vivendo in paesi diversi ci siamo spesso ritrovati ora in Italia, ora in Norvegia, per tre anni consecutivi loro hanno vissuto a Roma, poi Richard è stato nostro testimone di nozze
e la piccola Emmeline, la terzogenita, la bimba che ci ha consegnato le fedi... Hanno vissuto, condiviso con noi il nostro sogno, la nostra festa. Loro cambiano diversi paesi, L'Azerbaijan, l'Italia e poi l'Ucraina  e noi rimaniamo incollati alla nostra Italia, incollati alla nostra paura di cambiare fino al giorno in cui scegliamo l'Arabia.
Si propongono di venirci a trovare, un nuovo incontro per noi, l'approccio da vicino per loro con una nuova cultura... E non si può, le porte sono chiuse, nostro malgrado; la casa è grande, li potremmo ospitare volentieri, ma nessuna eccezione, neanche una deroga di fronte ad un passaporto diplomatico. Ma Richard è così, non desiste e allora ci incontriamo al di là del ponte. Si chiama Bahrain, fa sorridere esserci spostati solo di pochi chilometri, ma siamo in terra franca, pronti ad accoglierli. Hanno giustamente pensato di  ampliare il tour e di visitare anche le capitali di Libano ed Oman. Atterrano, infine, a Manama e ci incontriamo per un giro turistico della città.
Li andiamo a prendere in albergo e pensiamo di portarli in un locale tipico per la colazione, ed invece ci perdiamo... Ci avventuriamo in alcuni vicoli della zona centrale e meno moderna, che ci portano ad uno dei forti. Godiamo di una bella vista sulla zona desertica. La sabbia è molto chiara ed il sole la riflette lucente ai nostri occhi.

Il colore molto chiaro dell'argilla che ricopre l'edificio lo rende un tutt'uno con il contorno. Spiccano solo le palme, ci litighiamo quasi l'ombra dei loro rami...

Ma il nostro scopo era la colazione, rispondiamo ad un primo languorino grazie a una specie di pizza ripiena di formaggio appena sfornata! Camminiamo ancora un po', ma del locale di cui eravamo alla ricerca neanche l'ombra. Chiediamo informazioni e per tutta riposta, atteggiamento tipico di questa zona, per non offendere, ci vengono fornite indicazioni errate! E non è solo un simpatico gioco di parole, abbiamo "errato" invano per un bel po'! Fin quando chiediamo semplicemente se sanno indicarci un locale e, ci accomodiamo in un luogo davvero originale! Molto semplice, ma che ci fornisce del riso accompagnato da diversi tipi di carne e verdure, davvero gustoso!
Finalmente ristorati, proseguiamo il nostro cammino verso l'albero della vita,
la Grande Moschea,
ed  il lungomare.
 E' il tramonto e pensiamo di andare a visitare il souq. Cominciamo a perderci un po' all'interno, dentro i vari vicoli, ma dopo cominciamo ad accorgerci che c'è una strana atmosfera. Tutti, adulti e bambini, uomini e donne, sono integralmente vestiti di nero. Ci sono appesi ovunque manifesti neri con scritte in arabo dai colori fluorescenti e le moschee sono estremamente illuminate.
 
 
E c'è anche molta polizia in giro. Non riusciamo a capire cosa stia accadendo, non riusciamo a capire se ci troviamo in una situazione di pericolo, siamo incerti se rimanere, ma una cosa accomuna noi ed il nostro amico, siamo tutti affascinati da queste stravaganze culturali e non resistiamo ad avere delucidazioni in merito.
 
Nonostante il buio, nonostante l'abbigliamento nero, sembra un clima di festa. Ci sono molte persone e tutti risultano molto accoglienti e disponibili a darci spiegazioni. Si tratta di una manifestazione che ha luogo per l'Ashura, uno degli eventi chiave del calendario musulmano sciita. Ashura ricorda infatti l'uccisione dell'imam Hussein, nipote del profeta Maometto, avvenuta a Kerbala nel 680 dopo Cristo. La storia narra che Hussein fosse stato trucidato insieme con 72 suoi fedelissimi dagli uomini del califfo Ommayyade (sunnita), Yazid. Gli sciiti considerano il padre di Hussein, Alì, il vero successore di Maometto di cui era cugino, oltre che genero, per averne sposato la figlia Fatima.
Abbiamo capito solo a posteriori di cosa si trattasse. Bisogna considerare che la maggior parte della popolazione bahreinita si professa musulmana di orientamento sciita, mentre il potere è in mano ad una dinastia sunnita. Si trattava di un evento ufficiosamente tollerato, ed in cui siamo stati favorevolmente accolti. Non è mio scopo quello di esprimere opinioni in merito, ma voglio semplicemente raccontarvi il fatto così come si è mostrato ai nostri occhi ignari. Ci invitano innanzitutto a prendere del caffè speziato e a girare lungo i vicoli. Entriamo in una piccola piazzetta, dove si sta facendo la catechesi dei giovani. L'indottrinamento passa attraverso dei cartoni animati; i bambini vengono invitati a ripetere ad alta voce dei versi; vengono interrogati e viene premiato chi risponde in modo corretto.
 
Trascorre circa un'ora prima che l'evento abbia inizio: si susseguono diversi cortei. Aprono il corteo dapprima delle alte bandiere.

Dopo di che un gruppo di uomini si muove in circolo, guardandosi reciprocamente, uno sguardo di sofferenza, di chi vuole espiare una colpa, si battono forte il petto; forse lo sterno funge da cassa di risonanza perché il rumore sordo che producono è profondo, stanno esprimendo il loro pentimento.
 
Infine avanza il corteo più importante, quello che si autoflagella per espiare la colpa. Si utilizza una catena, o meglio un bastone da cui si dipartono più catene che vengono battute sulle spalle.
 
 
La scena è impressionante, sopratutto perché tra i partecipanti ci sono anche dei piccoli bambini.
 
Lo sbattere delle catene, il colore funereo delle vesti e delle bandiere, le litanie intonate creano un'atmosfera di vera espiazione, ma anche di costernazione da parte di chi partecipa esternamente. Un giovane accompagnatore ci spiegherà che, comunque, l'atto dell'autoflagellazione è simbolico e, di solito, non accompagnato da dolore fisico.
 
Al termine di questi cortei, ci immergiamo nel pieno della festa
 
veniamo invitati ad avvicinarci a dei chioschi che distribuivano cibi e bevande gratuiti. E' l'occasione per immergerci in un qualcosa di autentico, senza filtri e che, ancora una volta, passa anche attraverso i piatti della tradizione. Da una parte si friggono le Awwameh, le palline fritte e poi immerse nel miele e nel sesamo; da una parte si cuoce il chapati, la sottile pizzetta tonda di origine indiana;
 
da una parte si distribuisce una zuppetta di fave; e poi ancora si distribuiscono bevande dal colore rosa "barbie" dal dolcissimo retrogusto alla rosa;
 
bicchierini di latte caldo al cardamomo ed un'estesa varietà di tè con moltitudini di aromi diversi.
Eccoci amici, non siamo riusciti ad accogliervi a casa nostra, ad offrirvi una stereotipata ospitalità, ma siete stati parte integrante di un'avventura, vissuta insieme, che si è creata per caso. Avete addirittura indossato le maglie nere regaletevi da un generoso negoziante affinché poteste immergervi in questo clima. Comunque dei biondissimi norvegesi spiccheranno sempre in una folla di arabi!           

domenica 11 dicembre 2016

Quella magnifica distesa di sabbia senza confini...

Sembra opinione comune che l'esperienza più bella che si possa fare in Arabia Saudita sia quella del deserto e quindi era, pian piano, cresciuta in noi una grande voglia di avventurarci, era maturata una grande aspettativa. Purtroppo, però, non è così semplice organizzare un tour autonomamente, senza mai averne avuto esperienza, né tantomeno è facile trovare agenzie che lo organizzino come propria offerta turistica.

E poi ecco che ci arriva un inaspettato invito, Marta e Ruggiero non potevano farci regalo migliore: ci chiedono se vogliamo partecipare ad un camping nel deserto organizzato da alcuni loro amici sauditi. Forse quando si parla di organizzazione alla maniera occidentale di solito c'è già una data definita ed un planning dettagliato. In questo circostanza, la data che slittava di tanto in tanto e la destinazione che cambiava ubicazione, ci rendeva un po' scettici sull'effettiva riuscita dell'evento. Ma entusiasmati dall'idea assecondiamo lo spirito avventuroso ed, Inshallah, finalmente realizzeremo un sogno!
Un'esperienza davvero unica, riusciamo a vivere il deserto così come lo vivrebbe un autoctono. Quando pochi giorni prima Marta mi conferma che si partirà, leggiamo quanto Omar, il ragazzo che ci farà da guida, ha previsto e tutto sorprendentemente nel minimo dettaglio. Si parte di buon mattino, diversi step previsti per raccogliere tutti; esplicitati i negozi dove si andranno a comprare i felafel per la colazione (queste polpette fritte di tradizione araba costituite prevalentemente da ceci tritati con cipolla, aglio, prezzemolo e cumino); e l'acquisto di sacchi a pelo, che definirei rinforzati di lana per affrontare il freddo della notte,
 
e, per chi volesse, i farwa, i cappotti di stile beduino che indossano gli uomini per superare le temperature più rigide.
 
Ed il weekend prende inizio... Siamo gli unici che vivono un po' fuori zona, così arriviamo con calma all'appuntamento, sapendo che tanto i tempi sono sempre molto rilassati! Il taxi ci lascia al luogo dell'appuntamento ed i nostri amici arrivano con il suv otto posti affittato per l'occasione. Impieghiamo quasi quattro ore di viaggio per raggiungere il Thumamah National Park, alle porte di Riyad.
E' amore a prima vista... sembra un'infinita distesa di colore rossiccio, che appaga, sembra che dia calore, confonde la vista per le sue sinuosità prospettiche.

 

Poco prima di affrontare le dune ci raggiungono altri suv: è sempre preferibile che ci sia un gruppo di macchine in caso di problematiche varie, soprattutto di tipo meccanico! Si abbassa la pressione delle gomme e si va, alternando spinte pazzesche sull'acceleratore per affrontare le salite sabbiose senza rischio di scivolare indietro. Bisogna essere allenati per  capire come aggirare le curve o come non ristagnare o affondare in caso di ripartenza. Giungiamo comunque in una sorta di "baia", conosciuta dai ragazzi ed al riparto dai venti, dove cominciamo ad allestire l'accampamento. Innanzitutto si tira su la tenda, dove dormiranno i non temerari della notte.
 
Una delle mie più grandi perplessità era legata al contatto con la sabbia: al come saremmo riusciti a destreggiarci per ben due giorni con questi granellini che sarebbe finiti ovunque! Ecco una delle prime cose che mi ha stupita: non è necessario calzare scarpe da trekking, si può camminare a piedi nudi e la sabbia facilmente scivola via. E quindi il nostro inutile acquisto viene presto abbandonato per godere di questa libertà! Lo vuoi sentire sotto i piedi, lo vuoi osservare in tutte le direzioni e perderti con la vista verso l'immenso!
 
Ed ecco che poi si scaricano e si srotolano i tappeti ed alcuni cuscini rigidi, che nella tradizione araba servono per adagiarcisi quando ci si stende. Contemporaneamente viene allestita la cucina da campo ed il nostro cuoco si appresta a preparare il pranzo!
 
Ci aspetta il piatto tipico saudita, la kabsa: tutti intorno al grande piatto di riso, che ospita al centro la carne.
 
La tradizione vuole che il tutto venga mangiato con le mani, ma, gentilissimi, ci forniscono dei cucchiai perché immaginano la nostra difficoltà di afferrare il riso senza spargerlo sul tappeto prima di farlo arrivare alla bocca!!!
 
Si capisce che la cucina non è improvvisata, anche il cibo, per quanto gli strumenti siano arrangiati, è davvero molto gustoso! Lo apprezziamo tutti davvero volentieri!
C'è chi fa una passeggiata, chi cerca di immortalare questo spettacolare paesaggio nei propri fotogrammi, chi cerca di dilettarsi nel drifting (la guida) tra le dune, fino ad agganciare alla parte retrostante della macchina un sacco a pelo per fare un più spericolato sliding curvilineo!

Prima che le luci della giornata si affievoliscano, scorgiamo in lontananza un branco di cammelli che ritorna probabilmente dal pascolo.

Pian piano comincia a scendere questo sole immenso, il cielo comincia ad assumere le mille sfumature del tramonto.
 
Non c'è più la luce accecante che riflette la tua ombra sulla sabbia... i contorni si confondono, tutto diventa man mano più buio ed ecco che inizia un altro grande spettacolo, quello del cielo stellato notturno.
In realtà sono soltanto le sei, è tempo di accendere il fuoco, di mettersi tutti intorno, di deliziarsi di tè alla menta, di caffè al cardamomo, di latte allo zenzero, di raccontarci, di scoprirci affascinati gli uni della cultura e dei luoghi degli altri, curiosi ed interessati all'incontro!
 
Man mano ci si ritira nei propri sacchi a pelo, i più temerari resistono e riescono anche a godersi un buon barbecue.   
Il quadro è colmo: c'è il crepitio del falò, il profumo delle spezie contenute nelle bevande, il fumo del narghilè, il cielo stellato sopra di noi... E' estasi a cui affidare i propri sogni!
Ci si risveglia ai primi chiarori, quando la luce del cielo comincia a far brillare la sabbia. Le fiamme vanno rinforzate, il fuoco riprende corpo, siamo pronti per la nuova giornata.
 
Lasciamo ancora che le nostre orme solchino dei cammini lungo queste immense distese, veniamo colpiti dalla rarissima vegetazione che incontriamo.
 
Ci organizziamo per ricaricare le macchine, la spedizione si conclude, ma il bagaglio rientra più pesante, arricchito di un'altra nuova grande passione!
 
Decidiamo di proseguire verso un sito divenuto Patrimonio dell'Unesco, il quartiere di Turaif di Dir'iyya, sede originale della Dinastia Saudita e capitale dal 1744 al 1818. Vale la pena visitare questo luogo per avere un'idea di come fossero gli antichi villaggi arabi. Si tratta di case e palazzi in argilla, circondati da alte mura di cinta, ristrutturati di recente, da cui si può respirare aria di tempi lontani.   
Nonostante sia un luogo commercialmente sfruttato per locali e negozi, vale la pena perdersi in questa un'area rocciosa ma circondata dal verde del parco e all'ombra delle palme, per assoporare un po' del passato e dei fasti dell'antica regalità.

mercoledì 7 dicembre 2016

Il Natale quando arriva arriva!


 
Questo spot mi sembra quanto di più azzeccato ci sia per la nostra realtà saudita! Eppure qui è vietato celebrare funzioni natalizie; sono vietati la produzione, il commercio e la consegna di pacchi che contengano segni cristiani o anche solo la scritta di “Buon Natale”; è vietato esporre o anche solo tenere alberi, candele e altri addobbi natalizi; vietato lo scambiarsi auguri, anche per telefono.
Ed è così che nel buio delle proprie case si decide di ricreare blande atmosfere di questa festività, soprattutto grazie al fai da te! E' il momento in cui si dà spazio alla fantasia! Amiche che ti danno consigli sulle diverse decorazioni che puoi trovare su Pinterest o sui tutorial che puoi trovare su Youtube per realizzarle! Forse questo è il lato più bello di questa atmosfera tra l'islamismo censorio da una parte ed una frustrata volontà "occidentale" trasgressiva dall'altra!


E quindi cosa accade che nei compound già ad inizio novembre si organizzano "Winter Fair" e  "Caravan Crafts", cioè mercatini di vendita di prodotti handmade. E' stato esilarante riuscirsi ad organizzare per poter visitare il più grande ed importante. E' come se si tenesse all'interno di un mega compound ed è itinerante, perché alcune signore decidono di aprire le porte di casa e di allestire degli spazi espositivi.
Immaginate innanzitutto che essendo donne che possono guidare solo all'interno dei compound si sia prive di macchina e un pò arrugginite alla guida. Quindi i mariti, disponibili, che elargiscono la propria auto e cercano di spiegarne alla bene e meglio i comandi, sperano che nulla di disastroso possa accadere. Sicuramente gioca a loro favore il limite di velocità imposto a non superare i sessanta, e talvolta anche i quaranta, chilometri orari!
Ok, la mattinata ha inizio, selezioniamo con il navigatore i vari indirizzi e visitiamo le diverse case. In realtà nel nostri immaginario c'è il freddo, la neve, il Trentino o l'Austria, il vin brulé caldo, cappotto, guanti, sciarpa e cappello ben calzato; e qui siamo con i nostri trentacinque gradi, ancora a maniche sbracciate con il sole che filtra attraverso le palme!
Non c'è che dire molto spesso gli oggetti sono davvero molto belli, anche se seguono la regola di mercato per cui quanto più un oggetto è raro tanto più è costoso!
Ma nessuno riesce a tornare a casa a mani vuote, fosse anche solo con dei cinnamon rolls o con un pretzel di teutonica reminiscenza.
Anche nei compound più piccoli c'è chi organizza il proprio evento e l'atmosfera di comunità rende tutto più piacevole ed apprezzabile.
I workshop di scrapbooking diventano tematici e ci si diverte ad assemblare cartoline che si immaginano introvabili,
eppure in uno dei negozi più semplici del centro città, trovo anche queste!
Ed infine i festeggiamenti... Diventa organizzativamente difficile pensare ad un evento che dovrebbe essere rivolto ai residenti di un compound che include persone di religioni e credenze diverse. Ma per trovare un compromesso a metà strada si decide di chiamarla "Winter Fair" e dargli forse l'aspetto più laico e se vogliamo consumistico possibile. Ma non c'è niente di più bello che vedere i sorrisi e l'entusiasmo dei bambini che, di qualsiasi razza, lingua o religione siano, ricevono direttamente i regali da Babbo Natale!      
Anche se per me Natale è festa della famiglia e quindi, anche se con mio marito torneremo in Italia, abbiamo scelto di assecondare questo mood e ci siamo "arrangiati" con piccoli angoli di decorazione.


Ma l'angolo che più mi piace è questo...

quello che rappresenta adesso la simbiosi tra culture diverse, che fanno fatica a conoscersi e ad amalgamarsi, ma che alla fine convivono e cercano una strada comune!

sabato 19 novembre 2016

Giappone: ultima pagina del nostro viaggio, forse non proprio un lieto fine.

Ci dirigiamo verso la nostra tappa più a sud dell'isola nipponica: Hiroshima. Da Kyoto prendiamo lo Shinkansen, il "treno proiettile" che viaggia sulla rete ferroviaria ad alta velocità.

Arriviamo in poche ore a destinazione. Ed arriviamo puntuali! Inutile dire che l'efficienza di questi servizi di trasporto è impeccabile: "spaccano" il secondo, anche perché a distanza di pochi minuti sullo stesso binario partono più treni!
Giungiamo nel primo pomeriggio, abbiamo un albergo all'interno di un grattacielo con una finestra che ci permette di avere una panoramica della città.


 Il pomeriggio, però, sarà dedicato a visitare l'isola di Miyajima. Con solo 10 minuti di traghetto si approda su questa bellissima isola, su cui regna un'atmosfera rilassante e spirituale.
Siamo arrivati tardi rispetto agli orari di apertura dei tempi, ma riusciamo a vedere l’Itsukushima Shrine, che domina la spiaggia e contrasta con il rosso della sua architettura i colori della sabbia e del mare. Il santuario fu costruito a causa della sacralità dell'isola stessa su cui sorge. L'ingresso all'isola è stato infatti a lungo vietato, finché ai pellegrini è stato concesso di raggiungere il santuario costruito su palafitte all'interno di una piccola baia dell'isola. Il famoso tori (portale di ingresso al luogo sacro, da cui i visitatori sono tradizionalmente tenuti a passare) è stato costruito sull'acqua di conseguenza, collocato in mare di fronte al tempio. Rubo un'immagine dal web, visto che era in fase di restauro, per meglio farne apprezzare la bellezza.


L'edificio templare consiste in una serie articolata di strutture a palafitta. Gli edifici che compongono il santuario sono edificati secondo l'antica architettura shintoista e costituiscono "un importante esempio di architettura antica religiosa integrata con il paesaggio naturale".


 Anche il paese è molto accogliente: è attraversato da un fiumiciattolo;

 
è abitata anche dai dolcissimi cervi;

si trovano piante molto particolari;

svetta in alto sulla collina una pagoda a cinque piani.
 
Eppure lo spettacolo più bello è donato dai colori del sole che si staglia sul mare ed incontra i colori delle alghe sulla spiaggia.
 
E' tutto scolpito da giochi di luce, colori che si rifrangono sulle acque, voli ampi di uccelli nel cielo.
 
Siamo rapiti, sognanti, pervasi dall'inclusione di questo panorama spettacolare. Ci sediamo, silenziosi, ad osservare: le emozioni prevalgono sulle parole, la visione supera la volontà descrittiva, al dialogo si sostituisce un silenzioso appagamento!
 
È ormai notte quando arriviamo ad Hiroshima. Questa città è nota a tutti per essere la prima città obiettivo di un attacco nucleare durante la Seconda Guerra Mondiale. Riusciamo a visitarne il Memoriale della Pace. L'edificio venne progettato dall'architetto ceco Jan Latzel e la sua costruzione terminò nel 1915: il palazzo fu destinato a ospitare la Industry Promotion Hall di Hiroshima. L'esplosione avvenne a circa 100 mt., tanto che l'edificio venne rinominato Cupola della Bomba.
 
L'edificio fu una delle pochissime costruzioni, se non l'unica, a non venir completamente incenerite dall'energia atomica. Tutto il resto della città, costruito in legno come da tradizione giapponese, venne cancellato.


Inutile dirvi che osservare questo edificio adombrato dai riflessi notturni risulta spettrale architettonicamente e simbolicamente. E' intensificato il suo traspirare il monito pacifico, è acuito l'orrore rispetto a quanto accadde quel 6 agosto 1945.
L'indomani mattina proseguiamo la nostra visita al Parco della pace. Il Cenotafio, con i nomi delle circa 200.000 vittime, è costruito sotto un arco che fa da cornice al laghetto della pace, alla fiamma della pace ed alla Cupola della Bomba.
 
Il museo, con all'interno un commovente percorso che descrive il prima ed il dopo la tragedia atomica, contiene numerosi reperti e testimonianze. Sono stata incapace di fotografare un tale orrore, il dolore ha preso la forma delle testimonianze di chi ha perso i propri cari quella sera o negli anni successivi, per colpa delle radiazioni.


 
Il parco riserva un posto anche per un monumento speciale: Il Monumento ai bambini, dedicato ai numerosi bambini che subirono le drammatiche conseguenze delle radiazioni atomiche.
La statua è stata eretta in ricordo di una bambina giapponese, Sadako Sasaki. Abitava a circa 2 km dal punto di scoppio della bomba. L'esplosione del 6 agosto 1945 la scaraventò fuori dalla sua stanza, apparentemente senza gravi ferite. All'epoca aveva 2 anni. La sua vita proseguì senza particolari problemi conducendo le normali attività di una bambina, che amava particolarmente correre. All'età di circa 11 anni cominciarono però a manifestarsi i primi sintomi dell'esposizione alle radiazioni. Fu ricoverata in ospedale per leucemia. La sua migliore amica, facendo appello ad una leggenda giapponese le regalò una piccola gru di carta. La leggenda diceva che realizzando almeno 1.000 gru era possibile far felice gli Dei e chiedere loro un desiderio. Quello di Sadako era di poter tornare a correre. Sadako inizio a costruire le 1.000 gru di carta, eppure morì il 25 ottobre 1955.  Ogni anno, in occasione del giorno della memoria, tantissimi bambini del Giappone costruiscono le gru di carta e le depositano sotto la statua come se volessero aiutare Sadako a commuovere gli Dei per mantenerla in vita.
Il lieto fine possiamo scriverlo noi, aiutiamo Sadako, afferrando simbolicamente il nostro origami e innalzandolo a braccia spiegate verso il cielo, convinti che l'unica strada percorribile sia solo ed esclusivamente quello della pace. Rifiutiamoci sempre e comunque che altre pagine di storia possano essere colme di sangue e sofferenza!