giovedì 25 febbraio 2016

Opportunità

Se oggi io e marito viviamo in Arabia Saudita è perché a lui è stato offerto un lavoro. Alla soglia di quasi quarant'anni, con dei lavori stabili, tra l'altro da me ottenuto con grosse difficoltà e dopo varie vicissitudini, abbiamo deciso di rimetterci in gioco e di cogliere un treno che passava in quel momento.

Abbiamo "scelto" di rinunciare ad una vita felice per molti aspetti, ma per altri non stimolante. Alle volte ci si impantana in situazioni che attenuano la nostra luce e ci si abbandona, quasi per inerzia alla routine del quotidiano.
Spesso si pensa che scegliere di partire per andare a lavorare all'estero sia diventare mercenari di un'azienda, ma non si pensa anche ai risvolti meramente professionali. Sicuramente l'offerta retributiva è, per quanto riguarda l'Arabia Saudita, tra gli standard più alti al mondo ed è accompagnata da un interessante pacchetto di ricollocazione logistica (si è sollevati dalle spese inerenti casa, istruzione per i figli, assicurazione medica e biglietti per il rientro in patria). Però occorre anche pensare che entrare in una grande multinazionale significa essere continuamente aggiornati e formati, significa potersi confrontare con un ambiente multiculturale, significa esperire procedure gestionali ed organizzative di alto livello. Spesso le nostre care aziende italiane, seppur di grandi dimensioni e altamente performanti vengono gestite alla stregua della piccola azienda familiare con meccanismi clientelari propri della nostra atavica impostazione culturale.

Inoltre, arricchire il proprio curriculum vitae di un'esperienza all'estero, significa renderlo spendibile in  un mercato le cui dinamiche stanno diventando sempre più complesse e risentono fortemente della crisi economica internazionale.
Dalla selezione all'offerta contrattuale il percorso è tutt'altro che semplice. L'intervista di selezione di solito avviene in lingua e tramite videochiamata, per cui occorre assecondare orari che risentono dei fusi orari del paese in cui si andrà a lavorare. Sono comunque colloqui piuttosto numerosi, perché effettuati a livelli diversi: dal selezionatore, a volte esterno all'azienda stessa, si passa ai referenti HR interni, alla "business line" ed infine ai responsabili della "business line". Un secondo step consiste nella ricezione di un'offerta, che, però, è condizionata alla presentazione di tutta la documentazione necessaria a sostenere quanto documentato nel curriculum. Un terzo step, forse meno conosciuto nella nostra esperienza di selezione, è definita "investigation", ovvero la società contattata per svolgerla, a sua volta, si occuperà di attestare la veridicità del materiale fornito, contattando le persone a cui si è chiesto di essere referenziati, contattando facoltà universitarie, istituti professionali, dove ci si è formati, contattando ex responsabili con cui si è svolta una collaborazione lavorativa.  

Ciascuno step è propedeutico al successivo e, soltanto dopo aver terminato questo percorso, si può richiedere il visto di entrata. L'Arabia Saudita è tra i paesi al mondo in cui è più difficile ottenerlo, nel senso che non prevede visti turistici nella comune accezione del termine. Si accede al paese solo tramite sponsor, in questo caso l'azienda per cui si andrà a lavorare.  Occorre, quindi, predisporre un'ulteriore voluminosa documentazione e superare un check up medico per l'ottenimento dello stesso.
E così step by step, si parte...

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